mercoledì 12 agosto 2009

Cinque centimetri al secondo

Il ringhiare di una campanella riempì l'aria in maniera feroce sovrastando tutti i suoni presenti. Lievi e allegri sospiri dietro i banchi della 1° C da parte di studenti ben contenti di affrontare l'ultima ora nella materia che più gli aggrada. Educazione Fisica. Il rumore dello smuovere di banchi e sedie con conseguente fruscio di fogli e penne in movimento si legò melodicamente ai brontolii dell'insegnante che veloce dettava le ultime note di assegno. Pian piano l'intera classe si alzò, chi piano chi veloce, attraverso i loro banchi, raccogliendo zaini, borse quaderni e le forze dell'ultimo sforzo scolastico di quella giornata. L'insegante chiuse il registo, se lo portò al petto con aerea professionale, si aggiustò gli occhiali portandoseli più vicini agli occhi, e sospirando si allontanò dalla classe di tutta fretta con in mano la sua grassa verde borsa. Lievi schiamazzi rombeggiavano piano nell'aria, seguito da risatine e vocii che scomparvero piano attaraverso i corridoi. La classe rimase vuota e silenziosa, le sedie in disordine tra banchi scomposti, mentre una luce estiva rischiarava il tutto con una forte afa. Poi lo scricchiolio di una sedia che si muoveva rasente al pavimento. La luce formò un ombra di una persona che dimostrava essere alta due metri. Ma in realtà era solo un ragazzo. Joseph si avvicinò piano alla lavagna, con volto serio ma sereno, smuovendo piano l'aria che lo circondava. Osservò le piccole partcielle di polvere danzare attarverso un fascio di luce. Non sapeva ben concentrarsi solo su una, poichè subito si perdeva dietro un altra, e questa dietro un altra ancora. . .
Si avviò ancora dritto verso la lavagna. Poi si fermò, sempre molto lentamente, con fare metodico. Incominciò a osservare anche il carbone nero, liscio e piatto come un foglio di carta stonare pienamente con la facciata del muro bianchissimo, leggermente impolverata in cui riusciva a cogliere ancora i segni di gesso della precedente lezione con conseguenti macchie di cassino che sfoggiavano come delle nuvole attorno ad esse. In effetti, da un diverso occhio, a dirla tutta, quel ragazzo poteva apparire anche come un bambino autistico che osservava una semplice lavagna come se fosse un favoloso dipinto. Il pensiero fece spuntare un lieve sorriso a Joseph, che si nascose nella sua serissima faccia. Prese con estrema calma il gesso. Aveva un fare lento davvero unico, quasi affascinante a volte, ma ai più in realtà sembrava da matti. Portò il gesso alla lavagna stringendolo piano tra il suo pollice, indice e medio, bianchi quasi quanto il gesso stesso arrossati lievemente solo verso i polpastrelli. Fece incontrare il gesso con la superficie nera della lavagna, provocando una lieve ferita bianca. Poi tirò più dritto verso il basso, ma non con volontà casuale, ma con precisa accuratezza come se stesse seguendo un tracciato ben preciso. Il suo sguardo divenne imperscrutabile e il colore dei suoi occhi si accese di una nuova luce, la pelle bianca prese come più colorito e una lieve ruga nacque all'alto dell'occhio sinistro, ora inarcato e del tutto concentrato. Si mosse verso il basso con movimento danzante, come se stesse disegnando con tutto il corpo, tracciando linee qua e là, sempre in modo minuzioso e attento. L'aria assaporava il leggero stridere del gesso sulla lavagna. La polvere del gesso cadeva piano sui bordi della cornice. Faceva molto caldo quel giorno, e Joseph incominciò a sudare. La porta si aprì. Il cuore di Joseph andò in palpitazione nervosa e il suo respiro si fece più veloce, anche se non lo dava affatto a vedere. Era il perfetto antiessere dei suoi sentimenti, in un certo senso. . . Si fermò soltanto qualche istante per osservare il nuovo ospite di quella stanza. Era Christine. Joseph aveva sempre pensato che quel nome non si adattasse per niente a lei. Christine aveva sempre pensato che il suo nome fosse completamente inadatto per lei, e odiava anche chi la chiamava Chrisss, allungando smisuratamente il suono di quella s. Joseph incontrò gli occhi arancio-rossastri di Christine. Christine sbuffò lievemente osservando il gesso impriogionato nelle sue bianche dita ora lievemente arrossate. Joseph distolse lo sguardo e ricominciò il suo lavoro come se nulla fosse successo. Christine sbuffò ancora alzando gli occhi al cielo muovendo la testa in segno di negazione. I suoi capelli ondeggiarono sulle spalle. Rigirandosi prese per mano la maniglia della porta e la chiuse attenta a non fare rumore. Joseph spostandosi dall'altra parte della lavagna col gesso perennemente incollato al nero della lavagna osservò il suo abbigliamento. Sembrava uscita da un manga a colori. E non solo per il suo abbigliamento. Portava con disinvoltura una camicetta di un azzurro stinto con maniche che gli arrivavano fin sopra le spalle, camicetta che si chideva con un piccolo fiocco blu che richiudeva una lieve apertura al mezzo dal petto, lasciandola abbastanza scollata. Questa era attraversata da una fascia che reggeva una borsa perfettamente rettangolare di un azzurro più chiaro con allegati pupazzetti di teschi e di orsetti con cuori, che si dondolavano sulla mini gonna di un fortissimo nero, retta da una cintura a scacchi bianca e nera. Il tutto terminava con un paio di ballerine luccicose anch'esse azzurrine. Molti definivano questo abbigliamento da punk, o da emo, ma Joseph non sapeva bene cosa significasse, e in ogni caso, non gli importava. Lui lo trovava delizioso, per quanto l'abbigliamento per lui non fosse importante.
I suoi occhi ricaddero sulle piccole lentiggini sparse sulle spalle e il suo braccio. Poi si voltò. Lui si voltò facendo finta che fin'ora avesse osservato solo la lavagna. E per quanto ne potesse sapere, Christine era convinta di ciò. Stette per qualche istante a fissarlo, lo strano rapporto che aveva tra il gesso e la lavagna che ora parevano un tuttuno. Si sentì un lieve "mah . ." scoccare dalle piccole labbra, e scomparve dietro di lui. Con la coda dell'occhio il verde sguardo di Joseph si inoltrò nel piccolo volto di lei. Era leggermente arrotondato, con piccolo lentiggini che correvano per tutte e due le guance. Il naso solo accenato in mezzo ai suoi occhi di un inumano colore arancio. Sì, proprio arancio. Per molti avrebbero risposto castano, ma lui sapeva quanto in realtà nascondessero un colore unico. Erano di un arancione scuro, come le foglie di un acero abbastanza invecchiate, pieno di macchioline nere di cui non sapeva identificarne bene la disposizione ma si allungavano a mo di puntini o linee sparse per tutto l'iride. Ma non intralciavano per nulla l'audace colore dei suoi occhi. Le ciglia si allungavano abbastanza lontane dalle palpebre, di un nero piuttosto chiaro e la breve fronte era priva di ogni impurità. Ma più di tutto, ciò che più risaltava nel suo volto erano i suoi lunghi capelli color rame. E non erano rossi, ma proprio arancioni, un color rame diverso dai suoi occhi però. I suoi capelli cadevano ricci sulle spalle, e non si illuminavano alla luce del sole, ne risplendevano di qualche strana luce, ma semplicemente sembrava che quei capelli fossero intrinsechi di quel forte colore che si congiungeva benissimo al suo volto. A Joseph piaceva pensare che Christine non avesse dei capelli di un bel colore, ma un colore di bei capelli. Era difficile per lui esprimere il concetto, ma la cosa lo fece sorridere di nuovo. Ma questa volta il suo sorriso non si nascose, ma risplendette nel suo volto corrugando leggermente le palpebre.
Christine si mosse scocciata verso il primo banco e sedia dietro il suo compagno. Lo osservò ancora qualche attimo. Inarcò leggermente le sopracciglia osservando la strana figura che compariva dalle sue mani. Era un disegno dai contorni non ben definiti, e piuttosto approssimato secondo lei per essere identificato in un qualunque cosa rappresentasse. Si deconcetrò dal lavoro del suo amico, e si sedette con le gambe divaricate sulla sedia facendo incontrare le ginocchia che si scoprirono da una mini gonna, ora, leggermente alzata. Socciata si liberò dalla presa della sua cartella appogiandola sulle sue gambe, aprì facendo scorrere veolcemente la cerniera e ne tirò fuori un quaderno arancione. La cartella cadde a terra. Lei la prese svelta e la portò sotto il banco. Prese il quaderno tra le mani, l'aprì, prese una penna dalla tasca e incominciò a mordersela, concentrandosi su quei strani segni che riportavano quelle pagine. Inarcò ancora gli occhi e provò a concentrarsi. Ogni tanto alzava lo sguardo per dare un'occhiata all'andatura danzante dell'amico. Si immaginò librare nell'aria lui, il gesso e la lavagna, in gesti armoniosi e leggiadri. Si sentì una stupida e proseguì il suo studio. O per lo meno ci provò.
" . . . dalla radice di un numero negativo quindi consideriamo che . . ."
Scostò dei capelli che gli erano caduti dalla fronte, portandosi il quaderno più vicino ai suoi occhi per vedere uno strano segno non ben identificato. Non lo capì. Annoiata chiuse il quaderno in uno scocchio e lo sbattè sul banco, incominciando a mordere più forte la penna. Portò le gambe verso il banco e ci appoggiò sopra i piedi, a mò di divano. Poi parlò
- Ehi. . .
Joseph non fece una piega e proseguì a fare i suoi segni sulla lavagna.
Christine alzò gli occhi e sbuffò con la penna tra i denti.
- Ehi, come mai sei qui? Cos'è, educazione fisica non ti appasiona?
- Già - farfugliò Joseph. Altri segni, altri stridolii, altra polvere. La luce incominciò a nascondersi dietro i muri della classe. Christine lo osservò quasi divertita ora. Non aveva mai avuto interesse per Joseph, o meglio, mai ne avrebbe avuto con un tipo così silenzioso e. . . strano. Ma a lei non piaceva definire la gente strana. Ma non trovava altro aggettivo per identificare il suo compagno.
- . . . e cosa fai? - domandò sempre con la penna mangiucchiata tra i denti.
Joseph si piegò in avanti e incominciò a portare avanti e indietro il gesso quasi ai bordi della lavagna, sempre come se stesse seguendo dei tratti ben precisi.
Christine non si aspettò una risposta e si voltò a osservare fuori dalla finestra. Non pensava a niente. Joseph pensava di tutto.
- Cinque centimetri al secondo . . . - disse con voce ferma Joseph
- Come? -
In realtà Christine aveva capito benissimo, ma sperò si fosse sbagliata. Non aveva voglia di seguire folli discorsi con compagni apatici. Ma il suo sguardo si colorò di una curiosità nuova, ma Joseph aveva incontrato solo incertezza nella sua voce.
- Cinque centimetri al secondo, e la velocità con cui cadono i petali di un ciliegio . . .
Silenzioso silenzio irrigidì l'aria e i cuori dei ragazzi. Uno sembrava leggermente intimorita da quei discorsi, l'altro come se stesse lanciando da un burrone di pura follia. Entrambi avrebbero ben volentieri che quell'imbarazzante situazione si attenuasse e si rifugiasse nel vuoto di quel silenzio, ma nel fondo una aveva orecchie affamate l'altro un pensiero in piena esplosione. Christine irrigidì le spalle e si spinse un pò dietro mantenendo la sedie solo con le gambe anteriori, distendendo leggermente le gambe sul banco. Smettè improvvisamente di mordere la penna e non mosse lo sguardò dal compagno.
- Il tratto che percorre il petalo è breve, la sua fine in una fredda terra di autunno è vicino eppure incanta tutti il suo movimento con l'aria e il mondo circostante. In quel brevissimo minuti può conquistare il tuo sguardo, i tuoi pensieri, la tua attenzione più forte . . . si gira e rigira nel vuoto delicato com'è il suo colore e il suo. . . cadere. Nulla cade più dolcemente di un petalo di ciliegio ( si trattenne nel chiedere "non trovi?" ), eppure sono solo cinque centimetri al secondo. .
Le sue parole si spensero in un lieve e timido borbottio che lo imbarazzo più di qualunque altra cosa. Si aspettava una grande risata, o una vergogna che l'avrebbe accompagnato per il resto dell'anno. Ma il suo corpo non rispose agli stimoli della sua anima incendiata, e continuò concentrato il suo lavoro. Il silenzio si impadronì di ogni battito del suo cuore mettendosi al comando delle sue ansie più profonde. Christine alzò lo sguardo, basita apriva lievemente la bocca, perfettamente immobile in quella sua posizione scolasticamente scorretta, con le pupille dilatate e la luce che attraversava i suoi capelli come se fossero della stessa consistenza di un fantasma . Credeva di aver trattenuto una piccola risata, ma in realtà non ci trovava nulla da ridere anzi, quelle parole . . . avevano avuto un effetto così ambiguo su di se che non sarebbe mai riuscita a spiegarlo. Rimanè solo così, immobile mentre lui frenetico ma metodico lavorava con la lavagna. Poi a un certo puntò lui allontanò il gesso dalla lastra nera, accorciatosi di parecchio ora. Osservò per qualche istante gli schizzi bianchi prendevano forma nella sua mente. Posò il gesso sulla cattedra, con le mani tutte impolverate senza voltarsi. Corse verso la porta con passo lento, e con leggerezza la aprì e uscì da l'aula. Christine lo osservò in tutti i suoi movimenti ritornando a mordersi la penna. Distolse lo sguardo dalla porta e portò lo stesso sulla lavagna. Un albero dai mille rami reggeva altrettante mille perfetti fiorellini, alcuni più piccoli altri più grandi che si raccoglievano in perfetta sintonia di obre e luci. Era un albero di ciliegio sorretto da polvere di gesso, nato a metà di una lavagna che si raccaoglieva per gran parte della lunghezza del bordo, riempito da tantissimi fiori di ciliegio. Accanto a un tronco di polvere, piccolo cadeva un petalo che aveva appena resentato la superficie della bianca terra. Christine portò la sedia al suo corretto baricentro, posò la penna consumata dai morsi sul banco e si avvicinò inclinando leggermente spalle, corpo e testa verso la lavagna, riempita e rapita da quell'albero di povere. Notò il fascio di luce comprimersi nell'aria rivelando migliaia di particelle di quell'albero volteggiare nel vuoto. Li osservò con poca attenzione, poi si eresse in posizione retta a schiena dritta. Prese il cancellino posato sulla cattedra. Cancellò con un gesto il petalo nascosto dalla terra bianca. Poi prese il gesso e ne disegnò uno a mezz'aria a metà dell'altezza del tronco. Si sporse ancora per osservare quel petalo che cadeva fermo nella lavagna. Il suo volto si dipinse di un sorriso. Si raccolse i capelli dietro le spalle, prese quaderno, penna e cartella e uscì dall'aula con fare danzante. La sua gonna volteggiò piano tra il corridoio e la stanza. Nell'aula ora aleggiava solo un pesante silenzio dove si sentiva solo l'essenza stessa dell'assenza.
Ma non era vuota.

*il titolo del racconto è liberamente ispirato all'anime " Byosoku 5 centimeter " di Makoto Shinkai